‘Sollevato da un fascio di luce!’

Sardegna, 1948: l’inedita e straordinaria esperienza del quarto tipo di un religioso

di Gianfranco degli Esposti

 

Le prime pietre documentarie della casistica italiana degli Incontri Ravvicinati, nell’immediato dopoguerra, furono notoriamente rappresentate, in assenza di organismi specificamente dediti allo studio della materia, dalle singole testimonianze raccolte da riviste di cultura e quotidiani, i cui resoconti e commenti, consegnati alla memoria storica, avrebbero successivamente consentito di ricostruire gli eventi più significativi in tale contesto verificatisi, quelli cioè collegati alle manifestazioni degli occupanti dei dischi, all’epoca recepiti dall’immaginario collettivo come i marziani.

Si trattava tuttavia di reportage che, per quanto completi ed obiettivi potessero essere nei contenuti, erano regolarmente redatti all’insegna di un interesse perlopiù folcloristico o di mera curiosità verso gli strani accadimenti, sovente presentati nella cornice ironico bonaria delle celebri tavole di copertina di Walter Molino, e di altri disegnatori- ed in quanto tali non certamente spia di un’insorgente consapevolezza ufologica del giornalismo italiano dell’epoca, conditio peraltro cui quest’ultimo a ben cinquant’anni di distanza è ancora ben lungi dal pervenire, contraddistinto com’è a tal riguardo, in sin troppi casi, da malafede, trivialità ed indecorosi baciapilismi nei confronti dell’ideologia dominante, e quindi vittima più in generale di una vera caduta di stile rispetto ad un modello che per quanto naive, era in fin dei conti genuino.

Lo spazio generosamente concesso alla casistica ufologica relativa ai contatti ravvicinati con entità sconosciute, dipendeva così in toto dalla possibilità prettamente fortuita degli organi di stampa di venire a conoscenza di tali eventi tramite le persone medesime che di essi erano state dirette protagoniste, le quali però, comprensibilmente -pur disponendo talvolta di testimonianze collaterali o di elementi concreti a supporto della veridicità della propria esperienza di faccia a faccia con l’incredibile, non sempre se la sentivano di arrischiare di esporre il proprio nome ad una dubbia fama data da pubblica incredulità e derisione.

Ciononostante taluni casi furono egregiamente esposti, ricevendo molta popolarità, come quelli di Fara di Cigno (’48), Abbiate Guazzone (’50), San Piero a Vico (’52) Bernina (’52) e Cennina (’54). Altri invece subirono un iter più tormentato, vuoi perché precipitarono fatalmente nell’oblio della coscienza collettiva, dopo una loro prima ed approssimativa divulgazione, vuoi perché essi furono addirittura del tutto intenzionalmente taciuti per interi decenni dai protagonisti stessi - sino alla loro fortunosa riscoperta, avvenuta parecchi anni dopo, come ad esempio si ebbe rispettivamente con gli incontri di Renzo Pugina (Parravicino d’Erba,’54) e di Franco Premi (Cremona’54). Altri casi infine, come quello del pittore Johannis (Raveo,‘47), furono solo tardivamente divulgati, per via di un gioco sfavorevole di circostanze, indipendente dalla volontà del testimone.

E’ facile desumere come in un simile contesto dominato dall’aleatorietà della diffusione dell’informazione, la casistica ufficialmente nota su questi particolarissimi episodi fosse ben lungi dal rifletterne l’incidenza reale e complessiva nel nostro Paese, alla stregua di un iceberg, di cui si coglieva solo una minima parte in superficie.

La storia che in questa sede verrà ripercorsa è parte di questa indefinibile area sommersa di accadimenti, essendo anch’essa tardivamente e casualmente affiorata sulle censure per lungo tempo operate dal protagonista stesso, timoroso che il carattere sensazionale di tale vissuto, a stento accettato dalla propria stessa coscienza, ne avrebbe per sempre impedito una qualsivoglia forma di divulgazione.

 

Una lettera

Nel dicembre del ’90 un’insolita missiva giungeva alla sede del Coordinamento Nazionale di Gianfranco Neri [vedi fotografia]; in calce essa recava l’intestazione di un istituto ecclesiastico di Roma, il Centro Missionario Italiano dei Frati Minori Conventuali: l’autore era un frate di origine sarda, di nome Giuseppe Madau, all’epoca sessantenne, e da oltre quindici anni in missione nello Zambia. Precisando di avere trovato il recapito del CUN sul libro di R. Pinotti, UFO, Visitatori da Altrove, acquistato in occasione del proprio provvisorio rientro in Italia, per le festività natalizie, il religioso narrava di essere stato protagonista parecchi anni prima, nel settembre del’48, all’età di diciott’anni, di un clamoroso contatto ravvicinato con un UFO, avvenuto in pieno giorno nei pressi del proprio convento di Oristano, in Sardegna, nel corso del quale –per evidente azione del misterioso oggetto, egli era stato sollevato in aria per alcuni istanti, insieme ad un cane che si trovava nelle vicinanze.

A questa esperienza ufologica, continuava il Madau nel proprio scritto, ne seguì decenni più tardi, nel 1974, una seconda, di minore entità –si fa per dire: l’avvistamento sui cieli dello Zambia, di un enorme piattaforma cilindrica metallica, che affiancò per qualche istante l’aereo a bordo del quale egli si trovava, poco prima che avesse inizio la manovra di atterraggio.

Vi era la giustificata sensazione che si fosse in presenza di un caso di notevole spessore, soprattutto per ciò che riguardava l’episodio dell’incontro ravvicinato del ’48, trattandosi di un evento inedito risalente agli albori dell’era ufologica, caratterizzato da una così rilevante interazione fra il testimone ed un oggetto non identificato: oltretutto il primo del genere, in Italia, e non solo, nel quale un religioso fosse stato di prima persona coinvolto. Questa consapevolezza trovava conferma nella convinzione del protagonista stesso circa alcuni elementi della vicenda, del cui significato egli non riusciva bene a capacitarsi, e che, a sua detta, avrebbero necessitato di un debito approfondimento in sede di regressione ipnotica, esperienza che egli si diceva disposto ad affrontare malgrado l’avanzata età.

Ulteriori dettagli

Data l’esiguità del periodo entro il quale il religioso sarebbe stato reperibile, prima del proprio ritorno in Africa, Gianfranco Neri si affrettò ad inviare a questi una lettera contenente alcuni quesiti circa la dinamica dell’episodio in questione, alla quale poco dopo giunse una risposta.

A bordo della stranissima macchina, come era apparso l’oggetto volante in questione, agli occhi stupiti dell’allora giovane seminarista: un disco sormontato da una cupola trasparente, sospeso al di sopra di un albero, a poche decine di metri di distanza da lui- il Madau asseriva di avere constatato la presenza di due figure di aspetto estremamente simile all’uomo; agitato il braccio ad esse rivolto, in segno di saluto, queste avrebbero risposto!

Le entità, uscite quindi all’esterno, avrebbero invitato a gesti il giovane ad avvicinarsi al di sotto del disco, ma a fronte della sua manifesta riluttanza, sarebbero in breve rientrate a bordo. A questo punto la narrazione passava a descrivere il clou dell’evento: effettuata una strana manovra di mutamento del proprio assetto, l’oggetto avrebbe preso ad emettere strani fasci di luce di diverso colore, separati l’un l’altro per scomparire quindi di colpo dal campo visivo del testimone, il quale si sarebbe sentito improvvisamente sospeso in aria. Di lì a poco il seminarista avrebbe cominciato a recepire una crescente e non meglio precisata sollecitazione di tipo elettrico sul proprio cervello, sempre più fastidiosa e dolorosa: era come se esso venisse letteralmente scandagliato da qualcosa contro la quale egli nulla poteva. Sentendosi prigioniero di funi invisibili, e di una paura che in lui stava crescendo incontrollata, egli avrebbe preso a supplicare la Madonna, perché lo salvasse da quell’inaudita condizione, registrando poco dopo la voce chiara ed un po’ distaccata di una donna, echeggiante nella sua mente, la quale ingiungeva fermamente a qualcuno che egli venisse lasciato libero. Di lì a poco tutto sarebbe cessato, ed egli, insieme al cane, suo compagno di sventura, sarebbe stato lentamente adagiato a terra.

Dell’oggetto a questo punto non vi era più alcuna traccia, se non nel suo animo comprensibilmente incredulo e frastornato; rientrato in convento, e cercato di far parola ai propri compagni dell’incredibile accaduto, egli venne impietosamente zittito.

Così terminava la ricostruzione epistolare dell’episodio occorso nel lontano ‘48. Negli anni che seguirono l’ex seminarista, divenuto frate, tacque a lungo sulla propria incredibile esperienza, che dapprima, non avendo di fatto alcuna nozione di accadimenti ufologici, e quindi impossibilitato ad interpretarla in alcun modo, relegò in un angolo della propria memoria, archiviandola idealmente, sino a quando l’eco degli avvistamenti che andavano ripetendosi in tutto il mondo, e di cui egli apprendeva dai giornali, non operò in lui una prima sensibilizzazione. Ciononostante quasi ogni suo tentativo di aprirsi con terzi a tal riguardo dovette rivelarsi infruttuoso e solo raramente egli poté ricevere attenzione e credibilità. Venne poi il lungo periodo missionario nello Zambia, lontano dalla civiltà e dal mondo, ma paradossalmente fu proprio in quel contesto che si verificò la seconda esperienza ufologica della sua esistenza: l’avvistamento del grande oggetto cilindrico che procedeva a zig zag, di fianco al suo aereo, nascondendosi di volta in volta dentro le coltri nuvolose.

Alla luce dell’apparente impossibilità di un approfondimento dell’intera vicenda, data la pressoché continua assenza del frate missionario dall’Italia, le lettere furono archiviate e del caso rimase una vaga memoria nei pochi che di esse avevano a suo tempo preso visione; lo stesso Gianfranco Neri aveva, peraltro giustamente, sconsigliato il Madau dall’intraprendere la regressione ipnotica, e per l’avanzata età di questi, e per la continuità che un tale trattamento avrebbe richiesto.

 

Nove anni dopo: l’incontro

Quando nel dicembre del ‘98 mi trovai casualmente fra le mani quegli scritti, apprendendo a grandi linee dell’incredibile storia, così frettolosamente –anche se giocoforza- accantonata, fui tentato di verificare, tramite il Centro Missionario Italiano dei Frati Minori Conventuali, di Roma, se qualcuno fosse in grado di fornirmi il recapito in Africa di padre Madau, nella vaga speranza di contattarlo per lettera, al fine di riproporne in qualche modo il caso. Con mia grande sorpresa -si era infatti a ridosso delle festività natalizie, venni a sapere che il religioso era provvisoriamente rientrato in Italia, e che si trovava in quei giorni alloggiato presso il medesimo istituto. Nel volgere di un paio d’ore potei parlarci: il Padre si ricordava perfettamente della lettera scrittaci nel ’90 e del suo successivo breve contatto con Gianfranco Neri. Essendo peraltro il suo udito fortemente compromesso dalla malaria e dal chinino, presi in Africa da giovane, condizione che rendeva a dir poco problematica la conversazione telefonica, fu lui stesso ad esortarmi ad andarlo a trovare a Roma. L’incontro ebbe luogo in capo ad una decina di giorni, nella stessa sede del Centro Missionario, la Casa Kolbe, sita nello splendido contesto del Palatino. Constatato il mio interesse per l’esperienza dell’incontro ravvicinato ch’egli aveva avuto ad Oristano, in Sardegna, nel lontano 1948, il Padre non tergiversò affatto a ripercorrere quell’intero episodio, ampliandolo con inediti ed estremamente interessanti dettagli. Quanto segue è il contenuto dell’intervista concessami nel gennaio scorso, rievocante il clamoroso evento in questione nelle sue fasi più importanti e significative, e preceduta da un breve preambolo.

 

Quella sera di cinquant’anni prima

Il 13 settembre 1948, è la vigilia della ricorrenza di Santa Croce; Oristano è addobbata a festa per l’occasione, e sulla torre medievale della piazza centrale sono state disposte delle luminarie. Verso le ore 19, malgrado il sole sia appena tramontato, vi sono ancora eccellenti condizioni di luminosità, come è del resto tipico in Sardegna, ancora in quel periodo dell’anno- quando il giovane Madau -in ritiro spirituale presso il locale seminario diocesano, in attesa di fare le prime promesse dell’ordine francescano, cioè i voti, esce dal collegio, recitando il Rosario e, inoltratosi nell’orto del convento, prende il sentiero diretto a ponente [vedi disegno 1], uno dei tre percorsi dai quali esso all’epoca era attraversato. Qui egli dapprima si imbatte nel cane del guardiano, un vecchio animale, mezzo cieco, che prende a seguire il frate sino alla fine del vialetto, punto dell’orto coincidente, a sinistra, con l’angolo Nord dell’edificio conventuale, e delimitato poco più in là dal muro di cinta oltre il quale corre l’allora Strada Provinciale Cagliari Sassari, oggi sostituita dalla Superstrada. Fermatosi un istante, recitando la prima parte dell’Ave Maria, lo sguardo rivolto al cielo, ancora chiarissimo e privo di nubi- egli scorge verso ponente, un corpo mobile, dapprima scambiato per un volatile, in quanto pressoché puntiforme- che scende in picchiata in sua direzione, divenendo sempre più grande…

In pochi secondi vidi una macchina assolutamente silenziosa e di forma stranissima che non avevo mai visto, e di cui non avevo mai sentito prima parlare (durante il periodo del ritiro spirituale o noviziato i seminaristi erano tenuti ad osservare l’isolamento totale rispetto il mondo esterno, lontani quindi da radio, giornali etc…NdR). All’inizio essa non planava parallela al suolo, ma piuttosto obliqua, di modo che arrivata all’altezza dell’edificio seminariale, potei vederne chiarissima la sagoma: era un disco volante color argento, a forma di campana. [vedi disegni 2 e 3] La cupola pareva essere di plastica trasparente, dato che notai distintamente all’interno la presenza di due uomini, bianchi, di aspetto giovanile. Il disco si fermò poco al di sopra di un albero, un Eucaliptus, disponendosi parallelamente al suolo: contemporaneamente si udirono delle gride convulse e disorientate di gente, provenienti dalla piazza del paese, la cui torre era stata illuminata per la festa, e dal vicino distretto militare: "E’ andata via la luce!", andavano a più riprese ripetendo.

Le figure uscirono quindi all’esterno dell’oggetto, che era sospeso a poche decine di metri di distanza da me, ponendosi in piedi sulla sua piattaforma: erano uomini piuttosto alti, 1.90 o forse due metri, bellissimi, dal portamento nobile, e vestivano una specie di tuta argentea; incuriosito, feci loro un cenno di saluto, agitando il braccio, ed essi mi risposero sorridendo, invitandomi gestualmente così mi parve, ad avvicinarmi al loro disco: intendendo volessero portarmi via con loro, rifiutai. Ripeterono il loro invito più d’una volta, ma io non lo accolsi, conscio del fatto che il seguirli avrebbe significato per me l’impossibilità di divenire frate francescano. Quasi constatando il mio atteggiamento, le figure rientrarono nella loro macchina, la quale si dispose in assetto obliquo, mostrando la propria parte inferiore [vedi disegno 4]:fu in quel momento che notai la presenza di un’apertura circolare scura, al centro, e di una specie di struttura "a cingolo", o "cinghia" metallica, posta lungo la circonferenza esterna, che prese a muoversi, girando dapprima a scatti netti ed intermittenti, con un suono secco, simile a quello prodotto da una catena su di un ingranaggio- e poi sempre più velocemente. Di colpo il rumore cessò ed il disco dispostosi nel proprio primitivo assetto orizzontale, prese ad emettere a ‘raffica’, in rapida successione dall’apertura sottostante, degli stranissimi fasci di luce, di diverso colore, indipendenti l’uno dall’altro Si trattava di luce a settori, o ‘blocchi’, [vedi disegno 5] il cui aspetto cromatico cominciava dal viola, sfumava nel blu/celestino, quindi nel verde, nel giallo, nell’arancione, nel rosso e per ultimo nell’incolore: ebbi l’impressione che ognuno di essi ‘spingesse’ quello sottostante, ad un ritmo ininterrotto. Fra i vari ‘blocchi’, ognuno dei quali culminava in una di specie di divisione/strozzatura, che dava all’insieme un aspetto a ‘salsiccia’ vi era una zona acromatica di transizione. Il disco d’un tratto scomparve dal mio campo visivo ed io, cominciai a recepire la distinta sensazione, di un suono elettrico: uu-uu/uu-uu -che però si manifestava non a mezzo dell’udito, bensì nella parte superiore del cervello: mi sentivo leggero leggero, ondeggiante come un panno appeso ad un filo! Non vidi cosa stesse in quel momento capitando al cane. Forse l’oggetto in quel momento era sopra di me; di fatto comunque non lo vedevo più. Da quel momento il suono in questione si convertì in sensazione tattile ed avvertii qualcosa di simile a delle ‘dita elettriche’- che mi stava ‘rovistando’ nel cervello, insistendo particolarmente sul lobo sinistro: inizialmente la cosa era paragonabile ad un solletico, e ci fu una fase durante la quale fui, credo, assente come coscienza, rispetto ciò che avveniva: ecco perché a suo tempo avevo a voi proposto di venire sottoposto ad ipnosi regressiva. Mi risvegliai con una sensazione dolorosa: il ‘frugamento’ stava continuando ed io sentivo sempre più male. Fu a questo punto che cominciai a spaventarmi, pensando mi volessero acchiappare e portare via…Reagii allora ‘esclamando’ –nella mente: ‘No, non voglio!’, e con la mia coscienza di frate mi misi a pregare, ed invocai: ‘Madre mia, aiutami. Non voglio!’. Fu allora che sentii la voce di una donna, che rivolta a ‘qualcuno’, diceva, sia pur con poca convinzione: ‘Ma lasciatelo; lasciatelo stare’. La risposta a queste parole, fu data da un suono indistinto ed incomprensibile di ‘voci’ estremamente ‘accelerate’, che potrei paragonare a quello comunemente prodotto dal nastro di un registratore fatto procedere alla massima velocità. Lo scambio ‘verbale’ si protrasse per alcuni istanti, mentre io seguitavo a supplicare ‘Madre mia, aiutami’: si trattava però, voglio nuovamente precisare, di ‘voci’ e suoni a loro volta non provenienti dall’esterno, ma che io udivo dentro di me. Ad un determinato punto echeggiò nuovamente la stessa voce femminile, che chiara ed energica ingiunse: ‘Basta, lasciatelo!’. Il ‘rovistio’ cerebrale cessò di colpo, ed ebbi la sensazione di ‘scendere’, di lì a poco confermata dal mio battere i tacchi delle scarpe al suolo, come quando ti capita quando scendi da un gradino elevato. Fu allora che riaprii gli occhi e, voltatomi a sinistra, vidi il cane, ancora sospeso a mezz’ aria, il muso in alto, le gambe in posizione ‘fetale’, la coda infilata tra queste: lo vidi scendere lentamente a terra; arrivato a venti centimetri da terra, l’animale fece una caduta improvvisa. Per l’occasione constatai che il punto sul quale fummo ‘calati’ distava circa una decina di metri dal sentiero di ponente, ove inizialmente eravamo: ci trovavamo ora infatti sul sentiero centrale dell’orto. In quel preciso momento, quando appunto avevo ripreso coscienza, sentii i soldati del vicino distretto militare gridare: ‘E’ tornata la luce’; analoghe gride udii provenire dalla piazza del paese, che salutavano la riaccensione delle luminarie sulla torre; contemporaneamente sulla vicina Statale Cagliari Sassari, al di là del muro di cinta del Convento, le automobili si rimettevano in moto: per quale motivo esse si fossero fermate non sono in grado di dirlo. Era nel frattempo ormai divenuto buio, e mi riavviai verso casa: in quel mentre, ebbi la netta sensazione che sulla parte sinistra della testa, in corrispondenza della zona prefrontale e parietale mi avessero fatto una cucitura; quest’impressione durò qualche istante e poi svanì. Incontrati i miei compagni: stavano preparando canti e cerimonie per la festa del giorno dopo, e tentai di informarli di quanto mi era capitato, ma il tentativo fu inutile, in quanto, non appena ebbi abbozzato la descrizione dello strano oggetto che avevo visto, essi seccati per la mia intrusione, mi zittirono quasi insultandomi. Da allora tacqui per lungo tempo, nella convinzione che l’esperienza che quel giorno avevo vissuto, ben difficilmente avrebbe potuto essere resa nota.

Considerazioni e raffronti

Da un esame obiettivo dell’intera narrazione, emergono spunti e riscontri alquanto interessanti, non certamente liquidabili come mere casualità, che sulla base delle acquisizioni sino ad oggi maturate, oltre a conferire ulteriore peso ed attendibilità al clamoroso ed inedito contatto ravvicinato in questione, forniscono preziosi indizi che consentono di inquadrarlo, nella sua dinamica e natura, come possibile esperienza del quarto tipo, capostipite in quanto tale di un’intera casistica nota a livello mondiale, dal secondo dopoguerra ad oggi. Si tratta per la precisione, in altre parole, oltre che dei tipici tratti distintivi di un IR4, anche di termini e di concetti istintivamente fatti propri dal protagonista nella ricostruzione di quel lontano episodio, cioè non a bella posta studiati, e la cui presenza nel resoconto in questione non può che essere significativamente colta, secondo la sopra menzionata prospettiva interpretativa. Procedendo per ordine, dall’inizio del racconto, abbiamo:

-La descrizione dell’oggetto e delle entità; si nota un chiaro addentellato con le tipiche tematiche del contattismo: il protagonista parla infatti testualmente di disco a forma di campana, per gli addetti ai lavori, bell shaped UFO e di occupanti estremamente simili all’uomo, alti, bellissimi, dal portamento nobile, e indossanti tute argentee.

-Il venir meno della luce in paese, in coincidenza con l’arrivo del misterioso oggetto, ed il ritorno di questa ad avventura finita.

-Il dialogo a gesti con gli esseri a bordo del disco, richiama chiaramente alla memoria l’avvistamento di padre Gill (Nuova Zelanda) del ’59, con la differenza che in questo caso abbiamo a che fare con un’interazione ben più ravvicinata, limitata cioè non già ad uno scambio di saluti, ma culminante nell’invito, rivolto al testimone, a salire a bordo. Qualcosa del genere, invito/rifuto, si ebbe anche nel caso Facchini (Abbiate Guazzone, ’50) anche se fu contraddistinta per il malcapitato protagonista, da una dinamica più cruenta: fuga/abbattimento.

-Gli stranissimi fasci di luce… a settori, o ‘blocchi’ policromi, che oggi definiremmo luce solida, emessi dall’UFO successivamente alla propria manovra di mutamento di assetto: particolare interessantissimo, la sequenza di colori descritta: cominciava dal viola, sfumava nel blu/celestino, quindi nel verde, nel giallo, nell’arancione, nel rosso e per ultimo nell’incolore corrisponde perfettamente allo schema completo dello spettro cromatico della luce [vedi fotografia]

-Dopo questa fase dell’emissione di luce solida, che non a caso oggi si ritiene preluda situazioni di rapimento- il protagonista perde letteralmente coscienza, e si sente leggero leggero, ondeggiante come un panno steso; egli a questo punto, non realizza che in realtà già si trova sospeso in aria assieme al cane–i suoi occhi infatti rimangono chiusi sino a quando non verrà riposto al suolo- né successivamente riuscirà a ricostruire in momento d’inizio della fase di sollevamento. L’intera operazione scandaglio sul proprio cervello, e le non meglio identificabili voci, sono pertanto recepite durante il classico stato alterato di coscienza.

-L’esplicita sensazione, ad esperienza finita, di avere subito una cucitura, nella zona cerebrale interessata: questo rinvia eloquentemente alla nota tematica degli impianti

-La voce chiara, distinta, di una non meglio identificata donna, successivamente all’invocazione della Madonna: l’interposizione di un’immagine religiosa non è nuova di esperienze di questo tipo, e rientra più in generale nella confluenza in più occasioni registrata fra fenomeni UFO e BVM (Salette, etc… )

Conclusioni

Nel suo resoconto padre Madau ha riproposto con la massima lucidità e coerenza il lontano ed incredibile evento che lo coinvolse, e che è ancora vivissimo nella sua memoria. Nel suo stato d’animo però non vi è, né mai vi è stata, l’aspettativa di un eventuale ripetersi di tale incontro. Semmai, più sul piano generale, domina in lui una precisa convinzione sulle ragioni d’essere del problema UFO globalmente inteso, secondo la quale esso affonda le proprie radici nel mondo biblico. E da esperto esegeta biblico, curatore da decenni delle edizioni liturgiche vaticanensi, egli ci traccia una sua prospettiva interpretativa circa la natura di quegli esseri, che lui stesso vide, citando la lettera di San Paolo agli Ebrei

Chi sono gli esseri che sono in Paradiso? (ossia, che esistono nell’universo?)

Dio, gli Angeli ed i Prototocoi, i primogeniti che sono stati arruolati nei cieli.

In altri termini, afferma il Padre, si parla di coloro che vengono da altri mondi, non dal nostro: taluni di questi esseri sono certamente buoni, altri certamente cattivi. Ed allacciandosi indirettamente alla sua esperienza egli cita il resoconto di uno dei tanti incontri ravvicinati narrati dalla Bibbia, oltre quelli di Enoch, Elia ed Ezechiele: l’avventura di Abramo, che distese le opere sacrificali sul suo altare, rivolto a Dio, vede in quel mentre un ‘forno’ transitare sulla sua testa, e fermarsi; e in quell’istante Abramo cade al suolo privo di sensi.

                                                                                              Fine


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